Il DNA degli abitanti di Pompei. Verso una mappatura completa - NOC Press

Il DNA degli abitanti di Pompei. Verso una mappatura completa


Posizione geografica del sito di Pompei, Campania (Italia). Fonte mappa: SINAnet ISPRA – Dem75 (QGIS 3.22 'Biatowieza') https://www.qgis.org/it/site/





Il sito archeologico di Pompei è uno dei cinquantaquattro siti Unesco italiani ed è un luogo che si contraddistingue per la sua unicità..

Secondo Gaius Plinius Caecilius Secundus (meglio noto come Plinio il Giovane: avvocato, autore e magistrato dell'antica Roma), l'eruzione del Vesuvio avvenne intorno alle 13 del 24 agosto nel 79 d.C., ed era visibile da oltre 40 km di distanza. Più di 2000 individui sono morti come diretta conseguenza dell'eruzione, la più mortale mai registrata nella storia europea. I numerosi edifici eccezionalmente ben conservati che si trovano a Pompei come La Casa del Chirurgo (Casa del Chirurgo), la Casa del Fauno (Casa del Fauno) e la Casa dei Casti Amanti (Casa dei Casti Amanti) suggeriscono che Pompei fosse probabilmente un luogo di villeggiatura per ricchi romani. Tuttavia, Pompei era anche una città importante per il commercio e gli affari, con una popolazione compresa tra i 6400 e i 20.000 abitanti.

Nell'articolata storia della riscoperta dell’antica città, i ritrovamenti dei corpi degli abitanti che non riuscirono a scappare hanno un ruolo particolarmente interessante.

Nonostante l'intensa attività di ricerca scientifica sul sito dal diciannovesimo secolo a oggi, condurre studi sia bioarcheologici che genetici sui resti umani di Pompei è stata una sfida, poiché l'esposizione a temperature elevate distrugge efficacemente la matrice ossea, alterando la struttura della bioapatite e diminuendo la qualità e la quantità del DNA recuperabile. D’altra parte, è anche possibile che i materiali piroclastici che ricoprono i resti li abbiano protetti da fattori ambientali, come l'ossigeno atmosferico, che degrada il DNA.

Studi precedenti hanno mostrato la possibilità di recuperare dati genetici da resti umani e zooarcheologici a Pompei, ma quelle analisi iniziali erano limitate a brevi tratti di DNA. Nuove metodologie disponibili, hanno aumentato notevolmente la quantità di dati che possono essere ottenuti da campioni precedentemente non idonei per la ricerca genetica e potrebbero aprire nuove strade per aumentare sostanzialmente la conoscenza della diversità genetica nell'antica popolazione pompeiana.

Il DNA degli abitanti di Pompei viene comunque estratto dal 1998, profilandosi come uno dei più radicati ambiti di analisi scientifica nel sito.

Lo studio recente ha un suo punto di forza nell'individuazione per via genetica di una vistosa patologia, la tubercolosi.

Infatti, un gruppo di ricerca internazionale, guidato da Gabriele Scorrano, ha sequenziato il genoma completo di un individuo che perse la vita nella Casa del Fabbro durante l’eruzione. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Scientific Reports. [ https://www.nature.com/articles/s41598-022-10899-1 ] “Dal punto di vista scientifico, il lavoro è estremamente rilevante perché si tratta di uno studio genetico di un campione complesso visto lo stato di conservazione”, spiega l’antropologa Serena Viva, seconda autrice dell’articolo, e aggiunge “lo studio ha permesso di mappare il genoma di un individuo morto durante l’eruzione e inoltre di confermare la diagnosi di tubercolosi”.

LO STUDIO SU POMPEI PARTE DELLA CASA DEL FABBRO

Gli scheletri in esame appartengono a due individui e sono stati rinvenuti nel 1933 nella Casa del Fabbro, durante gli scavi condotti da Amedeo Maiuri. “Al tempo, spesso, si facevano i calchi dei resti rinvenuti, alcuni dei quali ancora in situ”, spiega Serena Viva, “sui due scheletri invece non fu realizzato il calco, forse perché ricoperti di un sedimento grossolano di pomici, e perciò gli archeologi si limitarono a metterli in luce e a lasciarli sul luogo del rinvenimento”. Successivamente, nel 2016, la necessità di una ristrutturazione della Casa del Fabbro ha cambiato le cose: prima dell’inizio dei lavori i due scheletri sono stati portati via dal sito archeologico e, su autorizzazione del Parco Archeologico di Pompei, sono diventati oggetto di studio. Per studiare i resti umani rinvenuti nella Casa del Fabbro di Pompei, il gruppo di ricerca internazionale, fatto di antropologi e genetisti, ha adottato un approccio multidisciplinare in due fasi: analisi bioarcheologiche e poi analisi paleogenomiche. “Per prima cosa è stata fatta un’analisi antropologica accurata”, spiega Serena Viva, “da questa sono sorte delle domande, ad esempio, ci siamo chiesti se i due individui avessero legami di parentela. Per questo motivo, è stato fatto un campionamento dei resti scheletrici per tentare le analisi genetiche”. Nello specifico, gli scheletri sono stati portati in un laboratorio dell’Università del Salento e qui sono stati restaurati. Poi, sono state fatte delle analisi macroscopiche dei resti e delle osservazioni paleopatologiche. In seguito, sono state fatte delle radiografie ad alcune parti di particolare interesse, come le vertebre lombari di uno degli individui che sembravano mostrare segni di spondilite tubercolare.

ANALISI PALEOPATOLOGICHE SUI CORPI DI POMPEI

“La tubercolosi è stata individuata con la cosiddetta diagnosi differenziale, come si fa in medicina, cioè ci siamo chiesti quali potessero essere le patologie che potevano causare lesioni di questo tipo”, spiega Serena Viva, “siamo andati avanti per esclusione, fino a individuare la causa nella tubercolosi. Poi, la nostra ipotesi è stata confermata dall’analisi genetica”. La tubercolosi è una malattia infettiva e contagiosa provocata da un batterio, il Mycobacterium tuberculosis, e lesioni come quelle trovate nello scheletro pompeiano si verificano solo nel 3% dei casi. 

Grazie agli scritti di Celso, Galeno, Celio Aureliano e Areteo di Cappadocia, sappiamo che in epoca imperiale la tubercolosi era endemica. La diffusione di questa malattia nella penisola italiana era dovuta all’aumento della densità di popolazione che ha caratterizzato gli albori dell’epoca romana. Probabilmente, è stato proprio lo sviluppo di una vita urbana a provocare questo aumento di densità di popolazione. Grazie al lavoro, il gruppo ha caratterizzato il profilo genetico del primo genoma pompeiano. “Tuttavia, in epoca romana, c’era una forte commistione di popolazioni diverse e perciò è difficile definire un genoma tipo del pompeiano o della pompeiana”, aggiunge Serena Viva, “in altre parole, non è possibile trovare un genoma rappresentativo dell’intera comunità”.

In ogni caso, questo risultato conferma la possibilità di estrarre il Dna dai resti umani di Pompei e dimostra le potenzialità di un approccio multidisciplinare per studiare la storia antica dell’umanità.

Lo studio ha anche permesso di capire che gli scheletri della Casa del Fabbro erano di due persone adulte: un uomo di età compresa fra 35 e 40 anni, alto 164.3 centimetri, e una donna di età superiore ai 50 anni, alta 153.1 centimetri. L’altezza di entrambi è compatibile con le altezze media del tempo, pari a 164.4 centimetri per gli uomini e 152.1 centimetri per le donne. È stato possibile ricostruire la sequenza completa del genoma solo per l’uomo.

La donna e l’uomo si trovavano nella sala da pranzo, sui resti di un triclinium. La posizione in cui queste due persone sono state trovate è compatibile con una morte istantanea dovuta all’arrivo di una nube di cenere ad altissima temperatura. Non sono gli unici ad essere stati sorpresi dall’eruzione. Infatti, più della metà delle persone rinvenute a Pompei sono morte all’interno delle loro case. Questo fa pensare che la popolazione non fosse consapevole del rischio di un’eruzione vulcanica o che comunque questo rischio sia stato minimizzato.

“Ogni dato in più che risulta dalle indagini è un'importante conquista per la ricerca scientifica che contribuisce a completare il quadro storico di un’epoca e di una civiltà. E’ frutto di collaborazioni interdisciplinari, di un lavoro di squadra lungo e paziente, che necessita anche di una volontà comune di divulgare notizie rigorose, evitando facili protagonismi che possono rendere fuorviante l’informazione. – dichiara il direttore Gabriel Zuchtriegel - Il Parco archeologico di Pompei è campo privilegiato di sperimentazione di tali studi, ed è il detentore dei conseguenti risultati, che raccolti e comparati sono in grado di assicurare una comunicazione corretta della ricerca archeologica, antropologica e in generale scientifica.”


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