Mafia, a luglio è morto il pentito Angelo Siino, detto il "ministro dei lavori pubblici dei boss" - NOC Press

Mafia, a luglio è morto il pentito Angelo Siino, detto il "ministro dei lavori pubblici dei boss"





E’ morto il 31 luglio Angelo Siino nella località segreta dove viveva con la famiglia, ma solo in questi giorni è trapelata la notizia.

Due anni fa, la sua vita era stata stravolta dal suicidio del figlio Giuseppe, di 47 anni, che si è ucciso sparandosi un colpo di pistola alla testa dopo un litigio con la moglie.

Angelo Siino era diventato collaboratore di giustizia nel 1997, e aveva parlato di Cosa Nostra , imprenditori e politica.

Qualche anno prima, negli anni ottanta veniva chiamato il "ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra" perché era l'ambasciatore dei Corleonesi nel palazzo della Regione e in tutti gli altri dove si spartivano gli appalti, era lui che per conto dei boss gestiva l’affidamento di molti appalti pubblici.

Era stato anche soprannominato “Bronson” per la somiglianza che aveva con l’attore.

Era apparso l’ultima volta in aula al processo "Trattativa Stato-mafia": quel giorno aveva parlato di un progetto di attentato nei confronti dell'ex presidente della Regione Sicilia Rino Nicolosi: "Voleva rompere sugli appalti - disse - me lo rivelò Giovanni Brusca".

I suoi rapporti erano con i capi della Cupola di Cosa Nostra dai boss Provenzano e Riina, a Brusca e Bontate, fino all’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino.

Il suo ruolo ed i suoi rapporti con l'alta finanza ed i politici era stato delineato da tre pentiti di primo piano di Cosa nostra: Balduccio Di Maggio, Leonardo Messina e Giovanni Drago. Ma a raccontare fatti inediti e di grossa portata su Siino era stato il boss ormai pentito Giovanni Brusca che faceva da tramite tra Totò Riina ed il "ministro" di Cosa nostra.

In seguito fu proprio Siino a diventare collaboratore di giustizia, e,  le sue dichiarazioni, a partire dal 1997, hanno aperto squarci sull’intreccio mafia-politica-imprenditoria fino a quel momento soltanto sfiorati.

Nel 2014 aveva deposto a lungo al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. E lì aveva rivelato che il boss mafioso Totò Riina veniva chiamato «Zio 1» mentre il capomafia Bernardo Provenzano veniva chiamato «Zio 2». Siino quel giorno parlò della figura di Pino Lipari, l'ex consigliere economico del boss Provenzano: "Si occupava delle segrete cose dei corleonesi". 

A lui Riina aveva anche affidato la “divisione” delle tangenti per i politici che avevano aiutato Cosa nostra a gestire in prima persona con prestanomi i grandi appalti. Quando ha deciso di collaborare, l’ex ‘ministro di Cosa nostra” a cui avevano già sequestrato patrimoni per ben 12 miliardi di vecchie lire, stava scontando una pena a 8 anni di reclusione agli arresti domiciliari ed era stato raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare per l’appalto truccato e gestito da Cosa Nostra per i lavori della nuova pretura di Palermo. E dopo qualche giorno decise di collaborare.

Qualche anno fa Siino decise di raccontare tutti i segreti di Cosa nostra in un libro, scritto con il suo legale storico Alfredo Galasso.

Nel libro ("Vita di un uomo di mondo") ha raccontato personaggi come Salvo Lima e Michele Sindona, senatori della Repubblica come Giulio Andreotti e Marcello Dell'Utri. Ci sono i ricordi dei viaggi fra i lussi di Parigi e quelli nei gironi del carcere dell'Asinara, delle battute di caccia con le "mangiate" e le "parlate" nelle masserie dei boss, ma anche i retroscena di alcune vicende che hanno fatto tremare un'isola e anche l'Italia intera.

"Sono e mi chiamo Angelo Siino, nato a San Giuseppe Jato il 22 marzo del 1944. Ho ripetuto queste generalità cento volte dinanzi ai Tribunali e alle Corti di tutt'Italia, fino a perderne il senso reale, il senso della mia vita". E' questo l'incipit del suo libro.

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