Monte Sant’Angelo. Le fonti scritte del culto di San Michele diventano Patrimonio dell'Umanità - NOC Press

Monte Sant’Angelo. Le fonti scritte del culto di San Michele diventano Patrimonio dell'Umanità


Donata dei Nobili. Tutto ebbe inizio il 490 d. C., quando un vescovo, Lorenzo Maiorano, narrò di un sogno e di un Arcangelo Michele. Un sogno che preconizzava l’ascesa del Cristianesimo. I poteri, laici e religiosi, affascinati dalla suggestione e dal controllo sui corpi e sulle anime di individui in cerca di dei, si adattarono alla disciplina misterica. Come lo Pseudo Dionigi Areopagita invoco’ “le Tenebre più che luminose del Silenzio, entro la quale Dio rivela se stesso, negandosi, così i poteri invitarono, chi voleva darsi alle contemplazioni misteriche, a oscurare i propri sensi e a rimuovere ogni pensiero razionale dalla mente, chiudendosi nel silenzio di un’ignoranza assoluta.

Articolo a cura della responsabile Donata dei Nobili, Martina Masulli, Francesco Le Noci e Giancarmine Prencipe della redazione giornalistica “Tancredi - Amicarelli”

Nel 2011, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) inscrive il Santuario di San Michele Arcangelo e le sue tracce longobarde nella Lista dei Beni Patrimonio dell'Umanità, nell'ambito del sito seriale "I Longobardi in Italia. I luoghi del poter (568-774 d. C.), insieme a Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio - Torba, Spoleto, Campello sul Clitunno e Benevento.

Una storia di popoli che s'intreccia con i pellegrinaggi verso il santuario di Monte Sant'Angelo, luogo di culto del Principe delle Milizie Celesti, l'arcangelo Michele. Ne sono prova le quasi duecento epigrafi rinvenute all'interno della grotta-santuario con nomi di pellegrini di origini germaniche, ma anche greche, latine e semitiche.

La presenza dell'arcangelo Michele sul Gargano è una sconvolgente narrazione.

Anche se il culto di san Michele affonda le sue radici in Oriente, la storia sacra del “terribile” santuario ebbe inizio con una fantastica leggenda.

Il culto cristiano di san Michele ebbe origine a Siponto e da lì si avviò la conversione delle popolazioni garganiche al cristianesimo, che si consolidò, sostituendo agli antichi culti pagani, quelli cristiani.

Sul monte Gargano il "vecchio" culto di Calcante venne sostituito da quello di san Michele.

Calcante fu un importantissimo indovino e sacerdote ed ebbe un forte radicamento nella vita spirituale, religiosa e materiale degli antichi abitanti del monte Drion, chiamati pagani. L'indovino, presente nei racconti della guerra greca contro Troia, è stato il suggeritore della costruzione del cavallo di Troia.

La diffusione del cristianesimo non fu indolore. Ci furono persecuzioni e per diversi secoli le popolazioni dei "pagi " del Gargano si rifiutarono di accettare il nuovo "ordine" religioso. "Dicesi, che discacciò dal Gargano i Necromanti, che avevano eretta la scuola, con ampie adorazioni a Lucifero", scrive Pompeo Sarnelli.

Anche se le leggende delle apparizioni di san Michele hanno avuto diversi ritocchi, è affascinante rivedere i prodigiosi avvenimenti.

Le tre apparizioni

All’alba del 4 maggio 490, un angelo guerriero apparve sulla cima del monte Gargano, all'interno di una grotta. Un bue, fuggito dal suo ricco padrone sipontino, quando arrivò sotto la cima, s’inginocchiò dinanzi alla maestosità dell’Angelo, in atteggiamento di preghiera. Il padrone del bue, Gargano, dopo aver percorso le valli e i sentieri del monte, vide la bestia sulla cima e, preso dalla rabbia, gli scagliò una freccia avvelenata, che tornò indietro colpendo lui e non l’animale. Subito, i garzoni di Gargano lo portarono a valle per narrare tutto al vescovo Lorenzo Maiorano, il quale ordinò tre giorni di digiuno per chiedere spiegazioni a Dio.

All’alba dell’8 maggio andò in sogno al vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano l’arcangelo Michele, che gli spiegò quanto era successo, dicendogli che aveva scelto di essere il custode e il padrone del luogo. Il vescovo Maiorano, dopo aver svelato il sogno ai Sipontini, si recò con i fedeli in pellegrinaggio alla grotta.

Questa meravigliosa leggenda è stata narrata nel tempo ed, ancora oggi, è ricordata come la prima Apparizione, detta “Del Toro” .

Due anni dopo…

La mattina del 29 settembre 492 c’era un fragoroso strepitìo di armi, si combatteva una guerra tra i Sipontini ed i Napoletani. I Sipontini chiesero tre giorni di tregua, che vennero concessi. Implorarono l’aiuto dell’Arcangelo, il quale andò in sogno al Vescovo e gli consigliò di non attaccare prima della quarta ora. Così avvenne. All’ora stabilita, i Sipontini, fuori le mura della città, diedero inizio alla battaglia. L’aria si oscurò, un terremoto scosse la terra, il mare muggì fortemente, causando una minacciosa tempesta… Tutto questo fece spaventare i soldati nemici, facendoli scappare. I Sipontini vinsero la battaglia.

Questa meravigliosa leggenda è stata narrata nel tempo ed, ancora oggi, è ricordata come la seconda apparizione, detta “Della Vittoria”

Un anno dopo…

Il 29 settembre del 493 era il giorno in cui i Sipontini volevano rendere onore all’Arcangelo, per la vittoria concessa, consacrando la Spelonca Garganica.

Mentre il vescovo Lorenzo preparava la cerimonia, l’arcangelo Michele andò in sogno al Vescovo, dicendogli che la sacra grotta era già stata consacrata con la sua presenza. Per questo l’arcangelo Michele concedeva a lui ed ai vescovi solo il privilegio di celebrare le funzioni religiose. Il vescovo Lorenzo, i vescovi della zona, i sacerdoti ed alcuni popolani decisero di recarsi in pellegrinaggio alla grotta.

Durante il pellegrinaggio, quattro aquile ripararono il corteo dei pellegrini dal sole. Raggiunta la sacra spelonca, trovarono l’altare ricoperto da un panno porporino.

Questa meravigliosa leggenda è stata narrata nel tempo ed, ancora oggi, è ricordata come la terza apparizione, detta “Della Dedicazione”.

Le "tre apparizioni" si diffusero tra le popolazioni. Il santuario divenne un luogo di culto, frequentato da molti pellegrini, provenienti da tutta l'Europa. Tra questi popoli, una ruolo determinante per la diffusione del culto l'ebbero i Bizantini, i Longobardi e i Normanni.

Scrive Giorgio Otranto: “La Città, infatti, sviluppatasi attorno al castrum sorto nel IX secolo nei pressi del santuario, è ancora oggi mèta di pellegrinaggi particolarmente affollati e numerosi nei due dies festi dell’Arcangelo, quello colto e libresco (29 settembre), attestato nel martirologio geronimiano, e quello popolare (8 maggio) legato alla tradizione garganica come il giorno in cui l’Angelo si è manifestato in diversi modi sulla montagna pugliese. Tali pellegrinaggi hanno lasciato traccia in una ricca documentazione epigrafica che copre tutto il Medioevo, costituita prevalentemente da segni di croce e graffiti estemporanei, tracciati sulle strutture del santuario anche da persone analfabete e di bassa estrazione sociale. In epoca moderna i pellegrinaggi alla grotta-santuario sono diventati di massa e si sono dati una precisa oraganizzazione nelle cosiddette “compagnie”, le quali per la ricchezza dei riti che praticano, talvolta di carattere paraliturgico, per l’ampia partecipazione di fedeli, per le caratteristiche del pellegrinaggio cui danno vita soprattutto nella parte finale del percorso verso la grotta, sicuramente rappresentano, insieme alla processione del 29 settembre, l’elemento più visibile e significativo del folclore e della devozione popolare per l’Angelo”.

I Longobardi incontrano l'Angelo sul Gargano

La conquista dell’Italia avvenne gradualmente, mentre lungo le coste i Bizantini controllavano le città, i Longobardi conquistavano facilmente le regioni interne.

Dopo aver attaccato molteplici città e dopo aver fondato il Ducato di Benevento (intorno al 570), cercarono di spingersi verso il Tirreno e l’Adriatico, per impossessarsi delle fertili pianure pugliesi. Secondo Paolo Diacono, i Longobardi hanno sempre guardato con interesse la Puglia, “e ora che potevano avvicinarsi al santuario di Monte S.Angelo, l’occasione non doveva tardare”. Intorno al 650, attaccarono il santuario di San Michele. Ma, Grimaldo I (duca di Benevento) accorse prontamente sul Gargano, respingendo l’attacco dei Greci e infliggendo a loro una grave sconfitta.

Fu proprio qui che iniziò il duraturo legame tra dinastia Longobarda e il culto micaelico.

Il 29 settembre cominciò ad apparire la dies festus sulla chiesa micaelica.

Questa battaglia è però adombrata in una operetta agiografica, la quale la fa risalire ai Longobardi di Benevento (758-787). Dopo il 650, la regione garganica fu assorbita dal Ducato di Benevento e rimase politicamente sottomessa prima ai duchi e poi ai principi (fine IX secolo). Il territorio fu anche posto sotto la giurisdizione della diocesi di Benevento da Romualdo I.

I Longobardi mecenati del santuario

E fu proprio Romualdo I a ristrutturare il Santuario, che aveva bisogno di soluzioni architettoniche più articolate, anche se questa portò all’abbattimento di molte pareti e la sistemazione di nuove scale. Questi lavori diedero al Santuario un aspetto nuovo.

Così ci fu la prima epigrafe, dove si leggeva che lo “Spinto dalla devozione, per ringraziamento a Dio e al Santo Arcangelo, il duca Romualdo I volle che si realizzasse e ne fornì i mezzi. Gaimardi fece”.

L’epigrafe fa riferimento a Romualdus dux e fu posta in un luogo in cui la gente doveva obbligatoriamente passare.

Delle altre due epigrafi incise, una ricorda un pellegrinaggio effettuato da Romualdo I e sua moglie, nella quale viene anche invocato l’angelo Gabriele. L'altra ricorda ai pellegrini le opere di ristrutturazione eseguite. Le incisioni riportano i nomi di due personaggi: Grimoaldo I e Romualdo I, re dei Longobardi.

Un altro intervento strutturale dei Longobardi al Santuario lo si deve alla regina Ansa, consorte di Desiderio. L’epitaffio testimonia un intervento di evidente impronta evergetica della regina a sostegno dei fedeli pellegrini. Il testo chiarisce anche che l’iniziativa riguardava la costruzione di ospizi. Grimoaldo I fece inoltre, costruire un’altra Chiesa a Pavia, rendendo più stabile il rapporto tra i Longobardi e San Michele.

La via sacra dei Longobardi

Il culto di S. Michele si propagò in tutta l’Europa. A testimoniare tale rapporto privilegiato è stata la “Via Sacra dei Longobardi”, un percorso che convogliava i pellegrini provenienti dal Tavoliere settentrionale e che, attraverso la valle di Stignano, portava proprio a Sam Marco in Lamis, a San Giovanni Rotando ed a Monte Sant' Angelo. Questa strada terminava il suo corso presso San Leonardo di Siponto ed al Santuario dell’Incoronata a Foggia.

La Via Sacra dei Longobardi si rivelò un crocevia affollatissimo di pellegrini e di guerrieri, che s'incamminavano verso la Terra Sacra. Il percoso era ricco di punti di sosta, di cappelle e ospizi, che nel tempo diventarono aggregati urbani come San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo. Il percorso era lungo, stancante e faticoso. Il Rituale di Ripabottoni definiva che ci volevano 7 giorni faticosi per finirlo tutto, ma era solo una metafora del percorso interiore che ogni cristiano doveva compiere dentro di sé, un cammino denso di preghiera, di opere buone di gioia che portavano la persona stessa ad un incontro diretto, attraverso il cuore e l’anima, verso Dio.

I Longobardi per costruire questa strada sfruttarono un ampio accesso in prossimità del S. Eleuterio, vicino a San Severo. Il primo dei tanti punti di sosta era la valle di Stignano, dove fu eretto il Monastero di San Marco in Lamis. Di qui, la strada proseguiva e portava a San Giovanni Rotondo. La Via Sacra, detta “Via Peregrinorum”, era anche intervallata da piccole chiese, monasteri, case e ospizi, che si intrecciavano e giungevano fino a Monte Sant'Angelo.

Scrive il prof. Giorgio Otranto: “In epoca moderna i pellegrinaggi alla grotta-santuario sono diventati di massa e si sono dati una precisa organizzazione nelle cosiddette “compagnie”, le quali per la ricchezza dei riti che praticano, talvolta di carattere paraliturgico, per l’ampia partecipazione di fedeli, per le caratteristiche del pellegrinaggio cui danno vita soprattutto nella parte finale del percorso verso la grotta, sicuramente rappresentano, insieme alla processione del 29 settembre, l’elemento più visibile e significativo del folclore e della devozione popolare per l’Angelo. Le “compagnie” con alla testa uno stendardo o una croce si muovono dal paese d’origine e raggiungono a piedi il santuario o percorrono a piedi l’ultimo tratto di strada, talvolta trascinando, in segno di penitenza, un pesante masso legato al collo. Ancora oggi alcuni massi sparsi nelle vicinanze del santuario sono considerati dalla credenza popolare retaggio di tale tradizione. L’ingresso nel santuario di alcune “compagnie”, tra cui quelle di Boiano, S. Marco in Lamis e Bitonto, che sono tra le più antiche e organizzate, è accompagnato dal suono delle campane mentre i pellegrini intonano inni, canti, litanie, filastrocche in cui è ricordato san Michele. Le “compagnie” più assidue sono quelle campane (Caivano, Aversa, Atella, Giuliano), abruzzesi e molisane (Atessa, San Salvo, Lanciano, Vasto, Boiano, Ripabottoni), lucane (Potenza, Avignano, Genzano) e naturalmente pugliesi (San Marco in Lamis, Bari, Terlizzi, Bitonto
 

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